In tutte le epoche della storia è sempre invalso il principio giuridico universale del “suum cuique”, ovvero dare “a ciascuno il suo”. Detto altrimenti è “trattare ciò che è uguale come uguale e ciò che è differente come differente, e ogni cosa per ciò che è”. Questo garantisce un equilibrio di interessi del tessuto sociale tra individui e istituzioni attraverso diritti e doveri.

Quando invece una politica di interessi vuole imporre i desideri di una minoranza a spese della maggioranza per mezzo del potere di Stato, salta ogni principio di equità sociale. Ed è quello che sta accadendo con la proposta del matrimonio per tutti. Viene insinuata l’idea che l’uguaglianza sia la realizzazione della giustizia. Ma questo non è per nulla vero perché, come già detto, il principio generale di uguaglianza richiede che vengano trattate in modo uguale le cose sostanzialmente uguali e in modo differente le cose sostanzialmente differenti.

Gli attivisti LGBT, dopo aver impregnato la società della loro ideologia, rivendicano oggi l’uguaglianza di genere sostenendo che lo Stato debba imporre l’omologazione del matrimonio di persone dello stesso sesso parificandolo al matrimonio tra un uomo e una donna.

La parola “discriminazione” è il termine chiave usata da queste associazioni e organizzazioni per legittimare la lotta per il cambiamento del sistema dei valori e che interpreta la distinzione di differenti realtà come ingiustizia. Ma la parola discriminazione viene dal latino discrimen che significa “distinzione”. Bene ha fatto la Conferenza dei Vescovi Svizzeri a fare una distinzione tra “discriminazione” e “differenziazione.” La prima è aborrita da tutti, come è giusto che sia, la seconda è il mezzo efficace per raggiungere la parità di trattamento e far riconoscere nel contempo la peculiarità e i diritti di ciascuno.

Essere diversi, cioè maschi e femmine, è un fatto, un accadimento, una realtà dalla quale partire. Sembra scontato dirlo ma, coi tempi che corrono, bisogna ribadire cose evidenti che per qualcuno non lo sono più. Da alcuni anni il termine “diversità” viene utilizzato a sproposito dalle comunità LGBT per legittimare ogni genere di pratica sessuale. Esso viene estraniato dal suo uso abituale per modificare le opinioni negative verso i comportamenti sessuali devianti. Non è un’impresa da poco convincere le persone che il loro sesso, in quanto uomo o donna, sia irrilevante per la loro identità. Per raggiungere tale obiettivo, l’identità bipolare (maschio e femmina) viene associata a termini negativi, facendola diventare offensiva. Una volta che i termini dispregiativi sono entrati a far parte della percezione valoriale della maggioranza dettano il corso dell’argomentazione. Ecco allora che parlare di maschio o femmina è una forma di sessismo, spesso poi accostato al termine razzismo, oppure classismo, fondamentalismo…

Curioso notare poi che le rivendicazioni delle comunità LGBT sono smentite dagli eventi. Vari studi dimostrano all’unanimità che lo stile di vita omosessuale è promiscuo e che la fedeltà ad un solo partner è estremamente rara. Inoltre gli omosessuali si aggirano attorno al 2-3% della popolazione, di cui solo c.a il 3-4% ha chiesto un’unione registrata. Il matrimonio è un patto tra l'uomo e la donna che stabiliscono tra loro una comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole. Sarebbe da chiedersi perché gay e lesbiche che non sono in grado di vivere la fedeltà con i propri partner, non possono generare figli e non sono interessati all’unione registrata, insistano così tanto a volere il matrimonio. Come la potremmo definire? Ipocrisa? Ideologia? Follia?

Per concludere diciamo le cose come stanno. Il tema del matrimonio per tutti non ha nulla a che vedere con i diritti. È solo una questione di privilegi. Allora sorge una domanda spontanea? Perché solo le coppie omosessuali e non altri possono beneficiare di privilegi? Perché non dovrebbe essere garantito uno status simile anche a coppie di fratelli, sorelle, coppie di amici che si vogliono bene, oppure a bisessuali, transessuali, poligami, poliandrici, poliamorosi?

Stiamo imboccando una china con scenari decisamente incerti. Come soleva dire il compianto vescovo Martinoli: “Ne vedremo delle belle!”…

 

Gabriele Diener